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RIFLESSIONI DI INIZIO ANNO
di Lorenzo Dellai
All’inizio di questo nuovo anno, motivi di riflessione ne avremmo a iosa: un’overdose di motivi, che rischia di provocare una chiusura difensiva dei nostri cervelli e dei nostri cuori. Cosa che infatti, piano piano, da tempo, sta accadendo.
Con l’Intelligenza Artificiale, i computer sono in grado di analizzare, gestire e interpretare una quantità inaudita di informazioni. Noi umani no. Abbiamo bisogno di codici culturali, antropologici ed etici per farlo senza andare in tilt. Ma su questi codici, negli ultimi tempi, non abbiamo investito a sufficienza: non ci siamo formati ed attrezzati abbastanza. Non ci dobbiamo stupire, dunque, se oggi sono sotto stress tre “valori” essenziali.
Il primo è quello della Democrazia.
Certo, non esiste un solo modello “tecnico” di Democrazia. Esistono però dei valori universali, elaborati con lotte e sacrifici di intere generazioni: principi di libertà personale e collettiva, rispetto dei diritti umani, superamento delle discriminazioni, responsabilità comunitaria. Questi valori sono oggi in fase di smantellamento a livello globale. Autocrati violenti e prepotenti (cito per tutti – ma sono tanti – Putin e i capi del regime teocratico iraniano) affermano la loro leadership con il metodo della forza bruta all’interno ed all’estero ed il loro esempio si sta diffondendo a macchia d’olio.
Ma questo smantellamento – in forme diverse – si fa sentire anche in Occidente. Non sono pochi i pensatori che teorizzano perfino la fine del valore della democrazia così come la abbiamo conosciuta in Occidente negli ultimi decenni. Jason Brennan sostiene, in un suo libro tradotto di recente in Italia dalla Luiss, che il diritto di voto andrebbe riconosciuto soltanto ai cittadini capaci di capire i programmi di chi si candida a guidare i rispettivi Paesi. Insomma, occorrerebbe superare la democrazia per “salvarla”.
Pare di assistere ad un paradosso. In tanti Paesi la Democrazia è impedita dal “Potere”, mentre in Occidente rischiamo che essa sia svuotata dal comportamento o dalla scarsa convinzione dei cittadini.
Questa caduta di “domanda di democrazia” nelle società occidentali ha molte ragioni. Vi è l’effetto complesso della secolarizzazione. La separazione tra “dimensione religiosa” (non parlo di specifiche confessioni) e “dimensione civile” ha portato grandi ed irreversibili conquiste sul piano dei diritti individuali e civili, ma ha generato nel contempo un deficit di “senso” delle cose umane. Ha prodotto una progressiva incomunicabilità tra sfera dell’individuo e sfera della comunità. Può esistere vera Democrazia senza spirito di comunità, laddove il legame non sia solo la sommatoria degli egoismi individuali e della loro intrinseca solitudine?
Vi è poi il fatto che la crisi delle grandi idealità politiche del novecento non ha prodotto aggiornate piattaforme culturali e progettuali capaci di tenere assieme le comunità secondo visioni di “bene comune”. Da qui, anche, la crisi della politica e della “rappresentanza”, che non sono questioni di sole tecniche elettorali, ma di “comune sentire”.
Scontiamo, infine, il modo con il quale le leadership occidentali (anche di ispirazione democratica e progressista) hanno gestito la stagione della globalizzazione. Essa ha comportato una crescita della capacità di reddito di una parte dei Paesi in via di sviluppo (che peraltro non ha affatto portato alla diminuzione delle disuguaglianze al loro interno e di certo non ha per nulla ridotto la loro dipendenza “neo coloniale” dai Paesi ricchi) ma ha impoverito segmenti non secondari delle classi medie e basse di molti Paesi Occidentali. Il superamento del protezionismo nazionale non è stato gestito in modo adeguato nei suoi risvolti culturali (l’identità) e sociali (le condizioni di vita di tante persone). Sta qui la più forte ragione del consenso popolare alle Destre populiste e nazionaliste che si registra in tutte le “periferie” (sociali e geografiche) in Occidente.
Il secondo valore che mi pare oggi sotto stress in tale contesto é quello dell’Europa.
Qualche giorno fa è scomparso il grande Jacques Delors, che ha cercato – nel suo periodo di presidenza della Commissione Europea – di interpretare l’ispirazione degasperiana assieme a Kohl e a Mitterrand, dopo la caduta del Muro di Berlino. Enrico Letta ha detto bene in una recente intervista. Ricordare Delors significa riproporre con forza la necessità del “pilastro” oggi quasi del tutto mancante dell’Unione Europea: quello politico e sociale, senza il quale anche quello economico e finanziario sarà sempre più gracile. Ma qual’é oggi la temperatura del nostro europeismo? Ritardi e incertezze nel processo di integrazione da un lato e nazionalismi riemergenti dall’altro non lasciano ben sperare, nonostante la pur miracolosa operazione del “debito comune” per il PNNR.
Il terzo “valore” sotto stress è quello di una una Repubblica “policentrica”, non fondata cioè esclusivamente sul ruolo e sul potere dello Stato.
Si pongono qui due questioni di grande importanza: il ruolo della società auto-organizzata e dei corpi intermedi da un lato e quello dei territori e delle Autonomie Locali dall’altro. Attorno ad entrambe si respira un’aria di stanchezza e di demotivazione, al di là delle celebrazioni e delle enfasi retoriche. Certo, si celebra il “Terzo Settore”, ma quanto dello spirito delle riforme adottate qualche anno fa viene riconosciuto e promosso nei fatti? Quanto di quello spirito non finisce invece mortificato nelle spire di procedure burocratiche omologanti e deresponsabilizzanti? Quanto spazio di libertà progettuale e realizzativa si garantisce a tutto ciò che non è né pubblico né privato, ma – appunto – “comunitario”? Quanto spazio ha la concezione “auto generativa” dei nostri valori civili e sociali?
Certo, si parla di Autonomia Differenziata per le Regioni Ordinarie e di ruolo centrale dei Comuni. Ma quanto tutto questo coinvolge sul serio le rispettive Comunità? Una “Repubblica delle Autonomie” non è affare solo da giuristi o da comitati tecnici ministeriali. È principalmente affare politico e sociale di un Paese che voglia veramente superare le angustie di un centralismo statale (e talvolta regionale) duro a morire e valorizzare il pluralismo delle esperienze “dal basso”. E come si concilia tutto ciò con un assetto della Politica sempre più basato sul primato di partiti romanocentici, quando non addirittura “personali”?
Crisi della Democrazia, dell’Europa e delle Autonomie sociali e territoriali sono, in realtà, facce della stessa medaglia.
Ecco, se potessi esprimere un augurio per il nuovo anno che inizia, auspicherei una qualche consapevolezza in più da parte di tutti noi attorno a questi tre “valori” oggi sottoposti ad una usura dalle conseguenze imprevedibili.
Il terzo valore (le Autonomie in senso lato ed “organico”) incorpora in realtà anche i primi due (la Democrazia e l’Europa). Una “Repubblica delle Autonomie” non può decollare se non recuperando il valore di una Democrazia Comunitaria e Solidale e testimoniando una forte vocazione europeista. È vero, il vento tira robustamente a Destra e verso soluzioni di ulteriore verticalizzazione del potere: come dimostra la strampalata proposta di elezione diretta del premier. Il vento – si sa – non vede gli scogli. E chi lo segue senza porsi il problema della rotta porta la nave alla rovina.
Il vero problema – di fronte ai cambiamenti epocali del nostro tempo – riguarda però innanzitutto la “domanda” politica. Riguarda cioè lo “spirito” delle Comunità e la loro capacità di ritrovare il sentiero che pare oggi avvolto nelle nebbie. Nonostante le grandi risorse comunitarie delle quali disponiamo, ma che sempre meno riescono a imprimere una cifra solidale ed innovativa alla vita sociale e pubblica. È sempre meno riescono ad essere anticorpi rispetto allo scambio tra “libertà” e “sicurezza” (presunta, peraltro). In fin dei conti, è questa la nuova, inedita sfida di una Politica che non solo “comandi” ed “amministri” ma concorra in primo luogo, senza alcuna presunzione ma anche con autorevolezza, a “ricostruire” una nuova, esigente idea di Comunità. Mi pare questo il nuovo orizzonte del Popolarismo.
I Popolari – quelli veri; con la schiena dritta; che non cedono al vento che tira; che sanno progettare nel lungo periodo; che non hanno l’assillo del prossimo voto e dei relativi più comodi e migliori accasamenti – devono essere coscienti, in questo senso, del proprio dovere. Base Popolare credo abbia in primo luogo questa missione.